Lo afferma un team di ricercatori che ha calcolato l'efficienza di un impianto pilota basandosi su cifre e costi effettivi e non su semplici proiezioni: lo studio è stato pubblicato sulla rivista Joule.
Usiamo quella che c'è già. Da tempo i climatologi avvertono che se vogliamo provare a fermarci sotto l'asticella dei +2 °C di aumento della temperatura media globale, rispetto ai livelli preindustriali, occorre ridurre quasi a zero l'uso dei combustibili fossili entro metà secolo: un obiettivo che allo stato attuale sembra veramente lontano.
Una sorta di compensazione può però venire per l'appunto da tecniche che comportino una sostanziale parità delle emissioni, o comunque emissioni ridotte se consideriamo l'intero ciclo vitale di un processo (lifecycle), catturando, sequestrando e riutilizzando vantaggiosamente parte dell'anidride carbonica già in atmosfera.
In questa direzione, una delle tecniche più promettenti è la DAC (Direct Air Capture). In sintesi, il sistema usa grandi batterie di ventole aspiranti per risucchiare aria: ulteriori passaggi permettono infine di separare la CO2 (cattura) e di stabilizzarla con una soluzione alcalina. Il liquido può essere pressurizzato e iniettato nel sottosuolo, dove viene stoccato (questa fase è appunto detta di sequestro o stoccaggio): al di là del metodo usato, il processo è detto Carbon Capture and Storage (CCS).
La DAC prevede la trasformazione del prodotto stoccato in un combustibile: un carburante fossile sintetico che, bruciato, non produrrà nuove emissioni in atmosfera, perché sono quelle vecchie, che verrebbero a questo punto riemesse e poi nuovamente riciclate.