Un giaccone realizzato con plastica riciclata, un parco giochi che nasce da vecchie pale eoliche, una maglietta fatta con gli scarti del latte. Eccoli qua, i prodotti dell’economia circolare.
Se ne sente parlare ogni tanto, anche se ancora troppo poco, o in modo improprio, per raccontare, ad esempio, come ci stiamo muovendo per riciclare meglio i rifiuti. Ma l’economia circolare è molto di più. È una vera e propria rivoluzione della sostenibilità globale in cui l’Italia ha grandi carte da giocare.
In ottobre l’economia circolare è stata la grande protagonista della Maker Faire di Roma, l’evento più importante dell’artigianato digitale. Proprio l’economia che “vuole imitare la natura”, come scrisse l’imprenditore ed economista belga Gunter Pauli, è stata messa al centro del più importante evento sull'innovazione in Europa (il secondo al mondo).
Pauli, nel 2009, pubblicò un libro molto importante per la definizione di un approccio integrale alla sostenibilità in economia: The Blue Economy, l’economia blu. Ma il nome che più spesso viene associato all'economia circolare è quello di una giovane donna, anzi una sportiva: Ellen Macarthur.
Britannica, 42 anni, a 28, nel 2005, ha battuto il record di traversata transoceanica solitaria a vela mettendoci meno di 72 giorni per fare il giro del mondo sul suo trimarano. Proprio quella esperienza la spinse a fondare la Ellen MacArthur Foundation, che dal 2010 è impegnata a sostenere la transizione del nostro modo di produrre e consumare verso una economia ri-generativa e circolare. E proprio alla Ellen MacArthur Foundation si deve la definizione più ampia e interessante: un'economia in cui i flussi di materiali sono di due tipi; quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera.
“Recuperare il ciclo naturale che per secoli ha caratterizzato il nostro modo di produrre”
“In parole semplici – spiega Nadia Lambiase, dottoranda in Innovation for the Circular Economy all'Università di Torino e ideatrice della app Mercato Circolare (vedi box in pagina) - l’economia circolare è un nuovo modo di fare produzione e distribuzione di beni e servizi, che ha radici antiche: intende superare la caratteristica proprio dell’economia lineare nata dalla rivoluzione industriale, cioè la produzione di rifiuti, recuperando l’idea del “ciclo naturale” che per secoli ha caratterizzato il nostro modo di produrre. Senza però tornare indietro a prima della macchina a vapore, ma puntando proprio sull'innovazione”.
La tecnologia, dunque, può aiutare non poco. Ma l’aspetto più importante è culturale, prosegue Lambiase: “Per dare vita davvero all'economia circolare è fondamentale cambiare approccio. E pensare all'intero ciclo di vita di ogni prodotto: un’auto, un vestito o uno smartphone devono essere progettati a partire da quello che si intende fare dei loro componenti dopo l’uso principale, di modo che ogni componente abbia sempre una seconda vita, e riducendo l’impatto negativo del suo utilizzo, della sua produzione, e così via”. Questo modo di progettare si chiama design sistemico e consente di valutare il peso di ogni produzione sulla biosfera.
L’economia circolare può generare anche un bel po’ di ricchezza e lavoro. Secondo lo studio Growth within: a circular economy vision for a competitive Europe, realizzato dal McKinsey Center for Business and Environment in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation e il Sun (Stiftungsfonds für Umweltökonomie und Nachhaltigkeit), un sistema circolare creato grazie a nuove tecnologie e nuovi materiali sarebbe in grado di aumentare fino al 3% la produttività delle risorse e genererebbe per le economie del Vecchio Continente sia un risparmio di base pari a 1.800 miliardi di euro l’anno entro il 2030, sia una crescita del Pil fino a 7 punti percentuali, oltre a più alti livelli di occupazione.
Secondo il 5° Rapporto Agi-Censis sull'economia circolare in Italia presentato proprio all'apertura della Maker Faire, il nostro Paese può essere protagonista. Siamo la nazione con il più basso consumo di materiali grezzi in Europa, tra i più bravi ad estrarre valore dalle risorse utilizzate, al primo posto per circolazione di materiali recuperati all'interno dei processi produttivi e si stima che l'industria del riciclo produca l'1% circa del Pil.
Segnali molto incoraggianti, anche se l’avventura è agli inizi e l’economia circolare resta poco conosciuta. “Possiamo individuare sei modelli di business per l’economia circolare – spiega ancora Nadia Lambiase – : l’uso di materiali ed energie naturali e rigenerabili; il riciclo dei materiali (carta, alluminio, plastica, vetro ecc.); l’upcycling, cioè la trasformazione di rifiuti in prodotti nuovi e diversi da quelli originali (teloni pubblicitari che diventano borse, pallet trasformati in mobili ecc.); l’estensione della vita del prodotto, attraverso la riparazione, il riuso (i mercatini dell’usato o il riutilizzo dei contenitori) e la rigenerazione (elettrodomestici che tornano a vivere sostituendo alcuni pezzi); le piattaforme di condivisione dei beni (un viaggio in auto, un posto letto sul divano, una stanza); e infine il prodotto come servizio, in cui conta l’uso e non il possesso (come nelle locazioni di veicoli)”.
“Progettare a partire da quello che si intende fare dei beni dopo il loro uso principale”
In Italia non mancano ottimi esempi, segno che, l’economia circolare del Belpaese è in marcia. Categoria per categoria, ecco alcuni “campioni” selezionati tra le aziende censite sulla app Mercato Circolare. La vicentina Alisea, ad esempio, e ha come vocazione l’upcylcing, strada intrapresa fin dal 1994: realizza gadget aziendali sostenibili, utilizzando i materiali di scarto delle aziende stesse. Non c’è rifiuto che nelle mani degli abili artigiani di Alisea non possa diventare un utile e originale oggetto di design: agende, shopper, calendari, sacche da viaggio, fino a Perpetua, la matita di grafite riciclata che è anche un brevetto registrato.
Una importante azienda italiana che da tempo sta organizzando interi cicli produttivi all'insegna di una sostenibilità sempre maggiore è la Aquafil di Arco (Trento): 2700 dipendenti in 15 impianti diffusi in 8 stati (e 3 continenti), è uno dei principali attori, in Italia e nel mondo, nella produzione di fibre sintetiche, in special modo di quelle in poliammide 6. Ma si propone anche come modello per “qualità, innovazione e nuovi modelli di sviluppo sostenibile”. E infatti all’interno della sua business unit Energy and Recycling, lanciata nel 2008, è nato, ad esempio, ECONYL Rigeneration System, un processo di rigenerazione del nylon a partire da rifiuti composti in tutto o in parte da poliammide 6, come le reti da pesca che troppo spesso venivano (e ancora vengono) abbandonate sui fondali con grave danno ai sistemi marini.
La Executive Service Srl di Castel San Pietro (Bologna) si occupa invece di ICT, cioè tecnologie informatiche e di comunicazione. E nel 2013, per festeggiare i suoi 25 anni, si è regalata una nuova sede completamente ecosostenibile a emissioni zero alimentata da energia solare in autoconsumo, il che elimina il pesante impatto dell’uso di energia, visto che – come raccontano loro stessi – “3 e-mail generano la stessa CO2 prodotta percorrendo 1 km in auto, un server produce ogni anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 e Internet inquina quanto l’intera aviazione civile mondiale”.
Il prodotto come servizio è invece la strada scelta dalla OIKOS di Grugliasco: affitta cassette pieghevoli di plastica per frutta e verdura agli ambulanti del Centro Agroalimentare di Torino, riducendo così i rifiuti e consentendo a chi usufruisce del servizio di avere uno sconto sulla Tassa Rifiuti.
Infine un campione del Mezzogiorno, la Kanesis. Start-up con sede a Ragusa e base a Catania, produce biocomposti a partire da scarti di biomasse. L’obiettivo sono “termoplastici speciali” come la Hempbioplastic, sviluppato a partire da scarti della produzione di canapa che vengono trasformati in prodotti grazie alla stampa in 3D.